Non sappiamo ciò che ci sta accadendo. Ed è precisamente quello che ci sta accadendo. E’ la frase che Edgar Morin (Parigi, 1921) ha preso a prestito da José Ortega y Gasset e che il filosofo francese pone in epigrafe al suo pamphlet Svegliamoci, pubblicato in Italia nel settembre del 2022, nella collana Le sfide…
Non sappiamo cosa ci sta accadendo
“Popoli, dirigenti, esperti, scienziati, intellettuali non riescono a collocare l’individuale, Il locale, l’immediato il nazionale, l’attuale nel loro contesto, quello di un’avventura umana che si trasforma da settantacinque anni e continua la sua trasformazione verso un avvenire sconosciuto.”[1]
“Sembra […] che il motore principale di questo divenire minaccioso sia lo scatenarsi della potenza prodotta dalla trinità scientifico-tecnico-economica, sempre più animata dal dominio insaziabile del profitto come dall’energia implacabile degli Stati. […]
Sembra che quelle stesse forze devastatrici producano nel mondo una regressione politica e sociale generalizzata, la crisi della democrazia che conduce all’instaurarsi di Stati neo-autoritari e/o dominati dagli interessi finanziari.”[2]
A partire dagli anni ’80 dilaga la marea neoliberista, la globalizzazione, che non è altro che la mondializzazione dell’onnipotenza del profitto.
“Il pianeta sottomesso a questa potenza, che provoca allo stesso tempo catastrofi ecologiche e asservimento dei popoli, suscitando molte rivolte, sempre represse.”[3]
Il modello di governo dei destini dell’uomo proposta dal transumanesimo [4] “maschera il vero problema dell’umanità, che non consiste nell’aumento quantitativo dei propri poteri ma nel miglioramento qualitativo delle condizioni di vita e delle relazioni tra gli uomini.” Il rapporto Meadows[5] del 1972, ha messo in evidenza l’insostenibilità dell’attuale modello economico di sviluppo di cui oggi stiamo vivendo una profondissima crisi.
La crisi
Secondo Morin in un sistema vivente come una società, la crisi è una perturbazione che colpisce la stabilità del sistema: “Essa provoca il mancato funzionamento delle regolazioni che ne inibiscono o contrastano le devianze.”
La crescita tecnico-economica degli ultimi decenni ha provocato la gigantesca crisi ecologica della biosfera e dell’antroposfera carattere essenziale della crisi dell’umanità[6].
Ma vi è una crisi ancora più profonda di pensiero che consiste in una “concezione lineare e quasi meccanicistica del divenire, alla convinzione che il futuro sia prevedibile, all’ignoranza del lavoro sommerso in atto sotto la superficie del presente. Confidando nel calcolo si anestetizza continuamente l’imprevisto.”[7]
Questa impermeabilità del reale al razionalismo di superficie, non significa che non si possa elaborare una strategia a cui affidarsi ed abbastanza flessibile da adattarsi ai rischi. Si tratta di immaginarsi come marinai impegnati in una navigazione in un oceano di incertezze dove di tanto in tanto ci si rifornisce su arcipelaghi e isole di certezza.
La riforma del pensiero
Morin promuove l’esercizio sistematico dello spirito critico, annebbiato dalla fiducia cieca in una scienza tradizionale e deterministica dotata di capacità previsionali modeste. Non si tratta di buttare a mare tutto ciò che è stato fatto finora ma di rinunciare all’arroganza dell’individualismo razionalistico utilitaristico a favore del riconoscimento di una ‘comunità di destino’ che può essere salvata ricorrendo ad una nuova ‘convivialità’.
“Una politica di civiltà mira a riportare umanità e convivialità nelle nostre esistenze. Essa mira a sviluppare l’autonomia individuale, la responsabilità, la libertà e a lottare contro l’egoismo. Questa politica di civiltà umanizzerà le amministrazioni e le tecniche, difenderà e svilupperà convivialità e solidarietà. Sarà una politica di riconoscimento della piena umanità dell’altro, una politica pienamente umanista.”[8]
C’è speranza
Constatiamo -ammette Morin- che ogni giorno la potenza delle forze regressive che si oppongono al cambiamento e il proseguimento della corsa verso l’abisso.
Tuttavia secondo Morin vi sono principi di speranza
Il primo principio di speranza è puntare sull’improbabile. La storia è costellata di fatti improbabili. Vi è in questo un’eco chiara della teoria del cigno nero di Nassim Nicholas Taleb e in generale del pensiero sistemico e delle dinamiche dei sistemi complessi. Significativo che tra gli esempi di ‘cigni neri’ citi la vittoria dei greci sui persiani nel 480 a. c. e la nascita sulla democrazia; la resistenza di Mosca e poi di Stalingrado nella seconda guerra mondale, il crollo dell’impero sovietico nel 1989 grazie a Gorbaciov: tutti esempi di energie straordinarie prima inespresse e mobilitate da una nuova visione di futuro.
Il secondo principio di speranza si fonda sulla creatività della mente umana. Le capacità cerebrali umane sono in grandissima parte non sfruttate e se siamo in grado di distruggere il pianeta siamo certamente in grado di salvarlo.
Il terzo principio di speranza si fonda sull’impossibilità di durare all’infinito di qualunque sistema che trasformi la società e gli individui in macchine.
“La nuova politica umanista di salute pubblica è il grande progetto che può risvegliare le menti prostrate o rassegnate. […] necessita che si restaurino una concezione, una visione del mondo, un sapere articolato, un’etica, una politica. Essa deve animare non soltanto una resistenza preliminare contro le gigantesche forze della barbarie che si scatenano ma anche un progetto di salute terrestre.”[9]
La lezione dei vegliardi
E’ curioso che le lezioni più innovative e moderne vengano poste con lucidità da due centenari: Noam Chomsky e Edgar Morin.
Entrambe fanno riferimento al pensiero sistemico e alla lezione moderna della complessità che rifugge da un determinismo scientifico ingenuo.
Entrambe sentono l’impellenza di porre un argine al degrado del mondo in cui viviamo e alla riscoperta di un’energia interna che è l’unica che può scardinare la situazione di degrado provocata dall’illusione del liberalismo scientifico.
Mentre Chomsky vagheggia un programma libertario e ribellista, in Morin vi è una forma di ottimismo programmatico culturale, mi pare, che non si traduce in una chiamata all’azione politica diretta che, è l’unica che può invertire il processo di autodistruzione. L’esortazione che dà il titolo al pamphlet, svegliamoci, è accorata ma ancora troppo fiduciosa nella diffusione di un rinnovamento culturale come premessa per l’inversione della corsa al disastro.
Mi pare che non sia chiaro che ad un orizzonte sempre più vicino vi sia un inevitabile, lacerante, cruento, conflitto sociale che non si risolverà per via culturale.
La difesa dei privilegi e le forze messe in campo per piegare gli istituti democratici agli interessi della classe dominante sono enormi ma, al tempo stesso, la crisi è talmente profonda, che non pare si possano aspettare i tempi della diffusone culturale della necessità del cambiamento.
Gli Stati nazionali stanno dimostrando la totale incapacità a svolgere la loro funzione prioritaria di garanti della giustizia sociale esercitata in cambio della cessione di quote di diritti personali.
Egalité, Fraternité
Le forme applicate di democrazia rappresentativa sono fallimentari. Si reggono sul principio illuminista della bontà e razionalità naturali dell’uomo. Questo principio ha ampiamente dimostrato la sua inefficacia storica e le comunità, così come degli individui, non scelgono sulla base di processi razionali ma su impulsi di attacco o difesa, di sopravvivenza e prosecuzione della specie (pensieri veloci)[10]
La triade illuminista (Liberté, Egalité, Fraternité [11]) ha creato i presupposti per l’abolizione della schiavitù, ma ha perso la sua capacità di propulsione: la fraternità è stata declassata a esortazione morale appannaggio della religione; l’eguaglianza è stata declinata come ‘diritto alle medesime opportunità’ lasciando sopravvivere e giustificando le peggiori differenze sociali; la libertà è degradata a liberismo economico che giustifica sperequazioni folli. La triade illuminista, deve essere reinterpretata e ri-gerarchizzata: primo uguaglianza, secondo fraternità. La libertà è la condizione dell’esercizio effettivo di uguaglianza e fraternità.
Si sostiene che l’attenuazione della libertà di iniziativa ha portato a condizioni drammatiche di povertà e di inefficienza. Se la libertà come è stata interpretata oggi dalle democrazie rappresentative ha condotto alla crisi attuale, forse non siamo sulla strada giusta.
Il cigno nero [12] che anche Morin si aspetta, non potrà che essere il risultato di una narrazione globale che ponga al centro l’uguaglianza effettiva come criterio guida: cibo sufficiente per tutti, aria ed acqua pulite per tutti, ospedali e scuole per tutti.
Convivialità
Segui il cibo (e non i soldi) e si capirà come si muovono le persone e gli interessi; guarda come mangiano le persone, scoprirai come funzionano i meccanismi di protezione sociale; usa il cibo come reattivo e scoprirai se quello che stai insegnando sta in piedi. D’altra parte non a caso Morin parla di una nuova convivialità.
[1] Cit. p.32
[2] Cit. p. 39
[3] Cit. p.38
[4] Il transumanesimo è un movimento culturale, filosofico e intellettuale che sostiene l’uso della scienza e della tecnologia per migliorare le capacità fisiche e cognitive dell’essere umano. L’obiettivo è superare le limitazioni umane, come fragilità, suscettibilità alle malattie e la finitezza della vita. La citazione di Morin è alle pagg. 37, 38.
[5] I limiti dello sviluppo. di Donatella H. Meadows. Dennis L. Meadows. et al. | 1 gen. 1972.
[6] L’unica via d’uscita per Morin sarà una decrescita di “tutto ciò che inquina e distrugge e la crescita di tutto ciò che salvaguarda e rigenera”. Cfr. p. 46
[7] Cit. p. 47
[8] Cit. pp. 70,71.
[9] Cit. p. 75
[10] Il riferimento è agli scritti di Daniel Kahneman, Pensieri lenti e veloci, 2011, e Rumore, 2021
[11] Motto adottato dall’effimera seconda repubblica francese come ci ricorda Morin, cit. p. 15
[12] Il riferimento è all’opera fondamentale di Nassim Nicholas Taleb Il cigno nero, 2007