Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis-Ferdinand Destouches, è nato il 27 maggio 1894 a Courbevoie, Francia, […]
Louis-Ferdinand Célne, pseudonimo di Louis-Ferdinand Destouches, è nato il 27 maggio 1894 a Courbevoie, Francia, e morto il 1° luglio 1961 a Meudon, in Francia.
L’opera
L’occasione per riavvicinarsi a Céline è arrivata dalla pubblicazione di Guerra, Milano, Adelphi, 2023, pp. 160. Il testo è contenuto in duecentocinquanta fogli, trafugati nel 1944 e riaffiorati recentemente. E’ una prima stesura di un romanzo scritta a metà degli anni ’30, cioè tra la pubblicazione di Viaggio al Termine della Notte (1932) e Morte a Credito (1936).
Pur essendo una prima stesura e non potendo sapere cosa l’autore intendesse fare di questi ‘fogli’, Guerra è importante perché copre un periodo decisivo della vita di Céline , dalla partecipazione come volontario alla prima guerra mondiale nel 1914, dove riporterà gravi ferite che gli procureranno danni irreparabili all’udito e al braccio, fino al trasferimento presso il consolato francese, l’anno successivo, nel Regno Unito.
Impossibile condensare in poche righe l’importanza dell’opera di Céline , misconosciuta o addirittura rinnegata a causa delle simpatie filonaziste e antisemite dell’autore, la cui originalità e potenza espressiva è stata ispirazione e guida riconosciuta per esempio dagli scrittori americani della beat generation del calibro di Allen Ginsberg (ebreo), Jack Kerouac e di William S. Burroughs attratti dalla sua prosa audace e ribelle.
Céline narra di sé. Il racconto mescola biografia, ricordi, idiosincrasia, fissazioni, il sesso, la voglia di stupire e di seguire il flusso dei ricordi, dei rancori e delle pulsioni. Ne esce un personaggio insofferente ed indifferente al giudizio morale, ma certamente vivo, gigantesco.
Il lato oscuro delle storie
Qui non interessa il giudizio letterario su Céline . Interessa come test per approfondire il rapporto tra realtà e racconto e testare la validità dell’affermazione di Jonathan Gottscall ne Il lato oscuro delle storie. Come lo storytelling cementa le società e talvolta le distrugge, Torino, Bollati Boringhieri, 2022.
“In linea generale, una storia o una narrazione – uso i termini in modo intercambiabile – è semplicemente un resoconto di ciò che è successo, sia che si tratti di una descrizione di qualcosa che è successo nel mondo reale o nel gioco del ‘facciamo finta che’ di un bambino.” (cit. p. 41)
La realtà esiste sono nel momento in cui è inserita in una narrazione? Il narrare isola arbitrariamente alcuni fatti dal flutto indistinto e inconsapevole dell’esistente inserendoli in un stato di coscienza possibile solo attraverso e dando vita all’unica realtà possibile che siamo in grado di cogliere?
Ognuno di noi in effetti non può che conoscere la realtà che lo tocca direttamente, sia per via percettiva, ma anche per via narrativa, linguistica.
Per noi lettori, le ferite di Céline all’orecchio che gli provocheranno un ronzio che lo accompagnerà e lo debiliterà per tutta la vita, non sarebbero esistite se non fossero state ‘raccontate’ e non le avessimo lette nella sua opera.
Eppure Céline è stato ferito, in un certo momento ed in un certo luogo: ma siamo sicuri che questo dato può essere definito realtà?
Non c’è dubbio che l’orecchio di Céline ammaccato in battaglia sia un dato reale così come non v’è dubbio che siano tragicamente reali i 10 milioni di soldati uccisi nel conflitto: ma queste realtà scompaiono nel momento in cui escono dalla coscienza, individuale e collettiva.
La coscienza e la narrazione
La coscienza è il terreno di lavoro per comprendere come la realtà non sia altro che il significato che l’individuo e la collettività assegnano ad un’entità (il reale) non accessibile nella sua essenza alla nostra struttura cognitiva e che modelliamo ricorrendo al linguaggio e alla narrazione.
Cosa ce ne facciamo di questa considerazione?
Molto. Perché significa che la presunta solidità del reale è il risultato di una narrazione solida sviluppata in un codice linguistico collaborativo e che il reale cambia se cambiano i presupposti linguistici del gruppo di riferimento.
Ma se questo è vero, significa che mostruosità storiche come l’Olocausto sono riconducibili a racconti e che l’immensità di quel dolore non è esistito? No. Significa che dobbiamo smettere di cercare una realtà reale e dobbiamo accontentarci di un racconto convincente.
Il che non vuol dire spappolare i lutti nella letteratura, significa che l’unica letteratura che abbia un senso è quella interventista volta a ridurre la quantità complessiva di dolore.